cis-alentum
Terra di Ulivi secolari
Acque limpide ed incontaminate

LA MAGNA GRECIA DA PAESTUM PASSANDO PER VELIA E COSì VIA:
filosofia cilentana
i luoghi della ''magna grecia''
IL Cilento...
...nasce nella notte dei tempi.
Terra aspra e dolce, là dove mare e monti si incontrano in un tripudio di luce e solarità. Calore e benessere interiore. Riscoperta dei valori.
Le mie origini: Born here.
My passion: il mare.
La luce, i colori, la gente, i volti, la flora, la fauna: tutto è diverso, qui si torna indietro nel tempo per poi andare avanti, perchè se non si conosce il passato non si può affrontare il futuro.
Sensazioni primordiali. Uniche.
La Magna Grecia è qui.
Nei volti degli abitanti cilentani troverete gli stessi profili degli Ellenici, dai quali discendono, e che oltre 2000 anni fa colonizzarono e resero ricco questo immenso territorio.
il Cilento e le sue vicende plurisecolari sono documentabili fin dalla preistoria. Già al periodo prima della nascita di Cristo (A. C. Avanti Cristo) possono ricondursi lunghe pagine che testimoniano le radici di una terra dal sapore antico.
Origine del toponimo
Quando e come nasce il toponimo Cilento?
Nonostante nel corso della storia siano state avanzate diverse ipotesi circa l'origine del nome Cilento, non vi sono elementi che possano ricondurre ad un'unica soluzione, escludendo definitivamente le altre.
Ad oggi quello di cui disponiamo non è una risposta univoca ma un apparato ipotetico composto da diverse accezioni, fra le quali ritroviamo la più accreditabile e in apparenza priva di evidenti contestazioni, vale a dire la teoria del Cis-Alentum.
La teoria del Cis-Alentum, affonda le origini in tempi lontani.
Cis-Alentum sarebbe la formulazione della base linguistica indicante quelle terre al di qua dell'Alento (ovvero poste ad est del bacino del fiume), e si è concordi nell'additare la coniazione ai monaci benedettini.
Dunque, secondo i presupposti di questa teoria: il toponimo trae origine dall'antico Hales, in seguito latinizzato in Alentum. Ai giorni nostri è indubbio lo stretto legame che abbia il territorio con il fiume Alento.
Mitologia
Il Cilento da sempre ha ispirato poeti e cantori.
Molti dei miti greci e romani sono stati ambientati sulle sue coste.
Il mito più famoso è quello dell'isola delle sirene, nell'Odissea. Quelle creature malefiche che, secondo Omero, irradiavano un canto che faceva impazzire i marinai di passaggio, portandoli a schiantarsi con le imbarcazioni sugli scogli. L'isoletta che ispirò il Cantore dell'antichità probabilmente è quella di fronte a Punta Licosa, a sud nei pressi di Castellabate.
Di fronte al suo mare Ulisse si fece legare all'albero di maestra per ascoltare quell'ingannevole canto. Un altro mito importante è quello di Palinuro, il nocchiero di Enea. Durante il viaggio verso le coste del Lazio cadde in mare insieme al timone. Si aggrappò al relitto e per tre giorni ingaggiò un'estenuante lotta contro le onde infuriate. Ma quando stava finalmente per mettersi in salvo sulla riva, fu purtroppo ucciso dagli abitanti di quei luoghi: da allora quel promontorio prese il nome di Capo Palinuro.
L'episodio viene descritto alla fine del Libro V dell'Eneide, nel quale Virgilio individua il punto preciso della vicenda: uno scoglio, riconducibile al tratto di costa campano del Mar Tirreno, dinanzi all'omonimo capo, tra il golfo di Policastro e l'insenatura di Pisciotta, nella subregione attualmente chiamata Cilento.
Naufrago dopo aver invocato invano i propri compagni, rimane per tre giorni in balia del Noto (un tipo di vento) fino all'approdo sulle spiagge d'Italia, dove troverà ad attenderlo non la salvezza ma una fine crudele: catturato dalla gente indigena, viene ucciso e il suo corpo abbandonato in mare.
Veniva così soddisfatta la richiesta di Nettuno, dio del mare, che nel momento stesso in cui accordava a Venere il proprio aiuto per condurre in salvo la flotta di Enea sulle coste campane, aveva preteso per sé in cambio una vittima:
« Unum pro multis dabitur caput.
Una sola vittima per la salvezza di molti »
(Eneide, V, 815)
Palinuro, nel successivo Libro VI, vagando tra le anime degli insepolti, sarà protagonista di un triste incontro con Enea, disceso nel regno di Ade in compagnia della Sibilla Cumana.
In quell'occasione supplicherà il suo condottiero di dargli sepoltura, esortandolo a cercare il suo corpo tra i flutti degli approdi velini.
« Aut tu mihi terram inice, namque potes, portusque require Velinos. »
(Eneide, VI, 365)
Sarà la Sibilla a dovergli rivelare che il suo cadavere non verrà mai ritrovato: la sacerdotessa tuttavia mitiga l'amarezza del nocchiero predicendogli che, perseguitati da eventi prodigiosi, i suoi assassini erigeranno un cenotafio da dedicare a lui e da onorare con offerte. Quel luogo avrebbe per sempre portato il nome Palinuro.
Altro mito è quello di Giasone e gli Argonauti che, una volta fuggiti dalla Colchide, per ingraziarsi la dea Era si fermarono presso il suo santuario alla foce del fiume Sele (l'attuale Santuario di Hera Argiva).